"Dal fico al figo" 2016 - Quinta edizione

Molto spesso parlare di moda significa relegarla ad atteggiamenti di superficialità, come l'esibizionismo e l'omologazione carichi, il più delle volte, di un'accezione negativa. La moda come fluida tendenza a cui si aderisce quasi per dovere: per un omaggio allo stilista che detta il must del momento o per un voto al guru che voglia instradare le nostre anime nei sentieri spirituali all'ultimo grido. La moda rimane comunque una pratica epidermica, che concerne il corpo senza mai intaccare nel profondo la nostra anima, che si tratti di adornarsi di accessori improbabili, di vestire l'outfit della stagione o di presenziare ai vernissage di gallerie brandizzate con i loro codici comportamentali.

Ma prima di cristallizzarsi in vetrine socialmente accettate e di connotarsi di un "estetismo idealizzante e conciliatorio" (M. Perniola, "Il sex appeal dell'inorganico"), la moda nasce in seno al corpo sociale e politico, in tutti quegli atteggiamenti dapprima sotteranei ma che, nella loro ripetizione e necessarietà, divengono convenzione, buono o cattivo gusto: stile. 
Dal corpo sociale alla fisicità del singolo. È in questo passaggio che si forma la moda, che si lega all'urgenza di una buona visibilità, per divenire una sovrastruttura funzionale alle relazioni quotidiane. Ma delle esigenze primarie che hanno portato al suo affermarsi non rimangono che traslucidi vapori che viaggiano sulla pelle. Cosa ci racconta il fenomeno della moda sull'identità di una persona o di una collettività? Come ci si destreggia nella dicotomia dell'essere e dell'apparire? E, non da ultimo, dev'esserci per forza uno iato fra il senso di Dioniso e la forma di Apollo? È in questo che l'arte – sincronia fra visibile e invisibile – può aiutarci: riconciliando una visibilità che passa per esibizionismo, un essere che passa per pura apparenza e un voyeurismo che passa per morbosità. 
Le opere degli artisti riuniti in questa collettiva sono uno scavo nelle ragioni della moda come fenomeno di massa che, nonostante il suo rapido e costante cambiamento, può creare una sorta di immobilismo sociale, ma anche una riflessione sulle valenze più profonde che la concernono. La visione in campo lungo dell'arte permette di prevedere tutte quelle attitudini sdoganate in cui involontariamente fluttuiamo, ma è anche capace di fornire materiale vergine alle tendenze che ne appianeranno ogni velleità sovversiva. Nella pittura fotografica di Saturno Buttò si mescola il sacro al sacrilego, lo spirituale al corporeo. Classico nell'ideale di bellezza, barocco nell'iconografia e nella teatralità, ipercontemporaneo nei soggetti e nelle tematiche; Buttò immortala i suoi personaggi come irriverenti martiri di "pratiche occulte" (sesso estremo, satanismo, fanatismo) che si stagliano su un fondo nero di inquietudine ed erotismo. Nelle immagini patinate di Buttò le divergenze divengono tendenza, i fisici statuari incarnano personaggi fra l'etereo e il mondano stigmatizzati dai dettami estetici della chirurgia plastica, mentre le controculture vengono saccheggiate del loro fascino per divenire moda, eccitante travestimento.

Non semplici stiliste, Blon.D e Francesca Paolin danno voce alla "buona pratica della maschera" (Gianni Vattimo, "L'uomo e la maschera"). I loro "travestimenti" non sono solo vestiti e accessori da indossare, ma vengono da una ricerca che attinge al profondo, che nasce dal fascino di un esotismo futuristico. Blon.D, alias Giuliana Corona, è fashion designer e realizza abiti in cui umano e inorganico si innestano con eleganza. Indumenti dal sapore cyberpunk che cambiano la fisicità del soggetto includendo protesi e innesti tecnologici. Memore della ricerca artistica di Rebecca Horn, nella sua Vortex collection il corpo si espande e si fonde con il suo involucro: le maniche si allungano fino alle ginocchia, il colletto si innalza schermando la vista, la schiena si fa mantello o corazza. È il "vestito senziente" teorizzato da Mario Perniola, quell'abito in cui interno ed esterno si confondono e naufragano in un sentire unico e unificato e scevro da connotazioni moralistiche.

I gioielli di Francesca Paolin sono orecchini, bracciali, collane che assurgono al compito di maschere o costumi, pronti a trasportare chi li indossa in un'altra dimensione, in un differente spazio-tempo. Forme elementari, profusioni organiche, non semplici ornamenti, ma scrigni di un linguaggio cifrato e sacro. Il corpo adornato diviene così "eterotopia", contro-spazio teorizzato da Michel Foucault ("Utopie. Eterotopie") designato come un'"utopia localizzata": sebbene esistente e giustapposte ai luoghi quotidiani, essa vive di altre regole e di temporalità. La maschera, il tatuaggio, il travestimento, hanno il potere di proiettare il nostro corpo in questi luoghi della magia.

Così le iscrizioni sul volto della ragazza rappresentata da Luciano Di Gregorio nella serie Vestimi di tattoo in cui elementi decorativi o mandala misteriosi proiettano il soggetto verso un altrove figurato e interiore. Nelle sue pitture digitali la protagonista si metamorfizza sotto la coltre di incomprensibili scritture e di una semiotica altrettanto misteriosa. È il tentativo di ricongiungersi a una dimensione naturale che si concretizza in sottese corrispondenze spirituali.

L'umanità di Rodolfo Angelosante è una massa confusa che si specchia (Caleidoscopio); difficile coglierne l'identità quando tutto è uguale a se stesso, quando il dialogo vuole oltrepassare la coltre della superficie (Conversazioni metafisiche), quando lo scavo nell'essenza richiede un lavorio nel profondo (Oltre le apparenze). Il trittico e le composizioni fotografiche presentate assumono il principio della sovrapposizione e della ripetizione a loro elemento compositivo: ridondanze estetiche, fantasmagorie collettive in cui la presenza si fa caotica, molteplice e grottesca, ma anche proiezioni riconcilianti in cui è possibile ritrovarsi.

La moda è anche la tendenza di uno stile di vita che si rapprende in momenti passeggeri, di svago e goliardia. Tutto questo prende forma negli interni delle case di Luca Barberini. L'arte musiva, nello specifico la tecnica del mosaico paleocristiano di Ravenna, è spinta all'estremo e ora calza la contemporaneità, sbircia nell'intimità di una cena di coppia o si sofferma su grotteschi passatempi odierni. Vivaci momenti quotidiani cristallizzati in attimi di voyeurismo e che richiamano la spasmodica voglia di esibizione subita ogni giorno. 
Dai passatempi di oggi agli svaghi di altri tempi, celebrati nei bozzetti veloci e dinamici di Lisa Gelli. In questi disegni la moda è percepita come un fenomeno transeunte, come qualcosa che sempre cambia. Artisti di strada, ma anche passanti, accomunati da un mezzo che si evolve sotto i loro piedi: dal biciclo al tandem passando per la carrozza e il risciò, la moda si concretizza anche nei mezzi di locomozione che divengono fenomeni di massa e status sociale.

Luciano Lupoletti realizza per la mostra tre oli su tela in cui scandaglia altrettanti aspetti della moda. Al centro del quadro Dal fico al figo è sospesa un'effige in cui un Arlecchino posa con una macchina fotografica che diviene maschera. Imprescindibile appendice della modernità l'obiettivo fotografico, così come l'abbigliamento, ha ormai perso la sua funzione per divenire ancella di una personalità costantemente in sfoggio. Dal vestire il corpo al vestire l'essere il passo è breve in Vanitas veste Bea Yuk Muy, omaggio alla stilista giapponese, ma anche riflessione su come la moda spinta all'eccesso si sovrapponga come un velo all'individualità. In Restituisci i colori ai miei sogni sono ormai i vestiti a dare corpo alla persona, degli abiti slavati che tuttavia mantengono un messaggio di speranza nei tre fili colorati che penzolano dall'orlo della gonna.

Anna Voig (Giovanna Eliantonio) si diverte, invece, a sovvertire gli schemi della moda con immagini ironiche, leggere, surreali. I suoi collage fotografici scardinano i meccanismi della visione, svelano e celano allo stesso tempo il non visibile del corpo, si muovono sul filo sottile del voyeurismo. L'ottica fotografica si sofferma su particolari di corpi che non si esibiscono mai nella loro interezza, morceaux messi a fuoco da dispositivi come cornici, carte da gioco, prospettive particolari. Nell'opera in mostra, Trittico di topi e fiori, i modelli danno le spalle all'obiettivo; al posto delle loro teste germoglia un'escrescenza floreale in una sfilata dell'assurdo.

Con l'opera 40075 km, installazione di un muro all'interno dello spazio espositivo, Rocco Di Francesco, in arte Ro_Dif, indaga la circolarità delle strategie della politica interna, nello specifico le convenzioni che hanno innalzato il muro a simbolo della protezione dai flussi migratori. Nel luogo dell'esibizione questa parete nasconde e rende anonimi tutti quei popoli che nelle attuali vicissitudini storico-geografiche vengono ostacolati da questo mezzo di frazionamento. L'attualità non fa che perpetuare la storia come moda ovvero come modularità di scelte sociali che formano l'opinione pubblica. Sbirciando attraverso le sue fessure si vedrà la nostra immagine curiosare nel muro ribaltando il punto di vista e occupando il posto, almeno empaticamente, dei rifugianti e dei richiedenti asilo.

La moda trafuga forme nel grande serbatoio della cultura e ci permette di assimilarle con leggerezza e volubilità; sradica ciò che è profondo o nascosto e lo porta in strada facendone un significante di cui appropriarsi. È continua metamorfosi, incostanza allo stato puro, e un'artista come Orlan l'ha ben dimostrato incarnando letteralmente più canoni di bellezza possibili, classici e moderni: le sue performance dal 1986 al 1993 sono state operazioni chirurgiche in cui modificava il suo viso mirando a passeggeri ideali di bellezza – tendenze – che l'hanno condotta a un aspetto ibrido carico di contraddizioni. La moda è un eterno ritorno delle stesse forme che nel loro riproporsi sono sovvertimento di ogni eredità, mobilità estrema, inscindibile dicotomia fra l'essere e l'apparire, fra il voyeur e l'esibizionista. Ma nelle parole di Roland Barthes "la moda si vive come un diritto, il diritto naturale del presente sul passato". Per questo dovremmo spogliarla di ogni moralismo e ammettere che l'abito può o non può fare il monaco, ma la differenza è negli occhi di chi osserva.

 

Testo di Martina Lolli

 

L'associazione culturale “Vagiti Ultimi” organizza mostre collettive di Arti Visive in location d'eccezione.

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